Canale nord dei Bureloni

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Quest’anno mi sentivo bene sugli sci; dopo tante stagioni altalenanti avevo trovato continuità nella sciata; con l’aggiunta di un paio di sci nuovi, vinti alla Fogada, mi sentivo non invincibile certo, ma certo dei miei mezzi e solido sugli sci.

Così sono tornato a fare questo giro in senso contrario a 15 anni fa, quando con Willy eravamo saliti dal canale dei Bureloni e scesi dal passo delle Farangole.

Alla partenza tutto bene; temperatura sottozero, neve fin dal parcheggio, ambiente invernale

Si comincia a salire. La neve aumenta di spessore e ci alterniamo a tracciare. Fa molto freddo, devo mettermi addirittura le moffole. L’amico freeride solitario si unisce al gruppo.

Ci avviciniamo al canale dei Bureloni; sembra ben innevato.

Ci alterniamo a tracciare in neve fonda. Decidiamo di salire dal passo delle Farangole; forse questo è stato l’errore; se fossimo saliti dal canale forse avremmo valutato meglio le condizioni.

Verso il passo delle Farangole. Al sole d’Aprile la temperatura è nettamente più alta. Sullo sfondo il Mulaz; con la neve di oggi sarebbe stata un’ottima sciata.

Risaliamo al passo dei Bureloni in un caldo asfissiante; siamo un po’ stanchi di tracciare.

Rinunciamo a salire ai Bureloni per neve inconsistente.

Il canale ci aspetta; è il io obbiettivo dell’inverno; nel frattempo è arrivato anche il freerider.

Le prime curve, si sa, sono quelle decisive; co le prime tasti la neve, la condizione delle gambe e la solidità mentale; mi sento bene, anche se in salita ho fatto parecchia fatica e ho avuto tanto freddo, cosa alquanto strana per me. Sono il primo a partire dall’ingresso a destra; Alberto e Roberto scendono dal ramo di sinistra. Li aspetto al punto di giunzione dei due canali.

Purtroppo la neve non è delle migliori; ce n’è molta meno nel canale e sotto un leggero strato affiora del ghiaccio, cerco di stare più attento.

Gli altri cominciano a scendere e a far colare neve; una situazione che non mi piace; cerco di spostarmi più in basso e fuori dal colatoio; mi scatto un’ultima foto.

In un punto nemmeno troppo ripido, dove sto cercando di spostarmi fuori dal colatoio una placca di ghiaccio mi tradisce; in un baleno prendo una velocità impressionante; cerco di fermarmi con gli sci ma c’è solo neve inconsistente che non rallenta; sento che faccio un primo salto e poi cado in una piccola valanga, cerco ancora di fermarmi contro un sasso e prendo una gran botta al piede destro e mi saltano via gli sci. A questo punto comincio a rotolare: cerco di stare calmo e mi allargo a croce per frenare il rotolamento; adesso sono fronte a valle in una slavina che scende e comincio a rimanere immerso nella neve; mi chiudo con la bocca nel bavero della giacca per on respirare neve, ma ho già la faccia piena e non vedo più nulla. Mi giro fronte a monte e provo a piantare i bastoncini, anzi l’unico che mi è rimasto visto che l’altro mi è stato strappato sena che me ne accorgessi. purtroppo faccio un altro salto e picchio anche la testa forte con il casco. Succede tutto molto rapidamente e a un certo punto comincio a capire che fermarmi sarà difficile; l’unica consolazione è che in fondo so che spiana, ma sono nel colatoio e sempre molto veloce; cerco di nuotare verso destra per uscire dalla corrente di neve e finalmente mi fermo.

Dalla traccia del Garmin scopro che sono rotolato a 40 all’ora in mezzo al canale prima di fermarmi.

Respiro forte: ho parecchie botte ma muovo tutto; solo la caviglia destra pulsa e on riesco a caricarci il peso; ma riesco a telefonare ad Alberto per dirgli cosa è successo. Poi mi metto i ramponi e scendo faccia a monte, cercando di stare a destra perché comunque vedo affiorare ghiaccio in centro. Dopo un po’ che scendo vedo gli amici che scendono circospetti e mi raggiungono quasi alla fine del canale; Alberto ha i miei sci sullo zaino; niente bastoncino o piccozza, sommersi dalla neve. Il freeride mi aiuta a mettere gli ci e i chiede se voglio un antidolorifico; ma preferisco che il dolore mi tega sveglio e soprattutto mi imponga di non forzare su qualcosa di lesionato.

La neve, la neve, questa maledetta neve così bella e così infida oggi è spettacolare; riesco anche a fare delle curve pur mezzo scassato, con un piede rotto, una mano dolorante, una botta in testa e una spalla malconcia (pian piano vengono fuori tutte le botte, ma domani sarà peggio!). entrato nel bosco ritorniamo sulla strada; incrociamo parecchi merenderos che salgono a piedi; chissà che impressione avrò fatto loro!

Dopo una pausa di riflessione e birre al birrificio Fiemme, riesco ad andare al Pronto Soccorso. Qui l’aspetto della caviglia si manifesta in tutta la sua evidenza; ma ho anche un gomito con un taglio, la mano destra gonfia, il ginocchio sinistro che ha preso una bella botta; insomma, me la sono cavata.

L’attesa dura un’infinità; per bei sei ore rimango in sala d’attesa, mentre entrano ed escono parecchie persone che non sembrano proprio da pronto soccorso; a parte nu ciclista caduto con evidenti sbucciature sulle ginocchia e una mano dolorante, il resto sembrano persone con dei malesseri che possono essere curati con dei farmaci; infatti noto che parecchi sono codici bianchi e alla dimissione devono pagare il ticket. Poi quando mi ricoverano fanno tutta una serie di esami molto approfonditi; apprezzo ancora una volta (ahimè!) la competenza e umanità del personale sanitario.

Per ora due settimane di stampelle, poi si vedrà.

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