Dopo un giro di acclimatamento a Namche prendiamo la strada verso Tengboche, sede del più importante monastero della vlale del Khumbu; è una giornata splendida, e ci lasciamo alle spalle la stretta valle per alzarci pian piano verso i 4000; dopo il ponte sul fiume il sentiero si impenna per una erta finale; la quota comincia a farsi sentire, il sole picchia.
Arriviamo presto a Tengboche e visitiamo il monastero, mentre all’interno alcuni monaci (abbastanza sonnaccosi e poco coinvolti peraltro) recitano alcune preghiere; fa impressione vederli seminudi in un ambiente freddissimo ed umido, avvolti in pesanti coperte e seduti uno di fronte all’altro; facciamo silenzionsamente un giro per la stanza finemente affescata con scene di vario tipo che potremo definire “bucoliche”, anche se notiamo parecchie scene di sesso.
All’uscita facciamo una puntatina all’internet point più alto del paese (come recita una scritta) per controllare le ultime notizie dall’Italia; non ci sono buone nuove, visti da fuori ci distinguiamo sempre per il solito cliché: ultras allo stadio e l’ennesima paventata crisi di governo: torneremo in Italia sotto un nuovo governo {it:Berlusconi}? la cosa getta un’ombra sinistra sul nostro incedere…
Dormiamo a Dingboche, un paesino poco oltre in una simpatica radura in mezzo ad un bosco di rododendri, con una punta di rammarico; la nosta guida sceglie sempre lodge un pò tristi, defilati quasi; questo poi comincia a dimostrarsi particolarmente freddo ed inospitale, con una sola stanzona per la cena dove il “calore” dell’unica stufa viene razionato per due ore: dalle 17:30 all 19:30. La cosa sembra influenzare anceh la convivialità, visto che nella sala regna il silenzio e nessuno sembra aver voglia di parlare; forse il freddo, oppure la quota con i suoi disagi; ceniamo a fianco di un gruppo di slavi che aggiungono copiosamente aglio tagliato a fette ad un piatto di spaghetti stracotti grossi come vermi.
Namche Bazar Tengboche GPX file
La mattina dopo partiamo di buon ora come al solito; lasciamo indietro guida e portatore che si attardano a far colazione (oramai ci arrangiamo in tante cose e sinceramente ci sembra sempre più inutile la guida..) e saliamo veloci verso Dingboche; in breve ci alziamo sopra i 4000 metri ed il sentiero si fa meno ripido per entrare nella valle glaciale del Khumbu fino a Dingboche; situata allo sbocco della valle di Chukung (che scende tra l’Ama Dablam e l’Island Peak) è l’ultimo posto dove si riesce a coltivare qualcosa ed ada varee una vita decente; il paese è piuttosto grosso, ma composto per lo più da lodge per turisti; le uniche caase di autoctoni sono defilate in mezzo alla spianata dei campi, separati da grossi muri di sassi a secco, continuamente divelti dagli {it:yak} che appaiono sempre più scorbutici; ormai i loro ben più mansueti parenti, gli dzopkio, ovvero gli incroci con dei tori, sono lasciati a valle perché soffrono l’altitudine.
A Dingboche troviamo il modo anche di fare una partita a biliardo nel bar centrale del paesino, dove si ascolta musica reggae e si incontrano parecchi europei; il pensiero corre alla fatica che deve essere costata portare fin qui una lastra di marmo, ed alla cifra spesa per giocare; 200 Rps a partita che per noi sono 2 € e mezzo e corrispondono ad una giornata di lavoro di un portatore.
Il pomeriggio ci viene a chiamare al lodge una ragazza bionda che si rivela essere un medico americano di Chicago di stanza a Periche; tutti i giorni tengono una conferenza a Periche ed una a Dingboche dove trattano per gli escursionisti i rischi dell’acclimatamento in vista della tappa che tutti fanno di circa 700m di dislivello, contro i 400 al giorno consigliati. Scopriamo così che tutti gli “strani” sintomi di cui soffrivamo sono in realtà avvisaglie di un buon acclimatamento; sogni pazzeschi e molto vividi (ho sognato di esser un prete, ed un capitano della marina che combatteva gli alieni nel deserto, senza contare tutti gli amici e conoscenti che ho visto in situazioni paradossali e che qui non posso citare per loro rispetto), flautolenza incredibile, bisogno di urinare in continuazione, ecc.. Però stiamo bene, non soffriamo di emicrania, al contrario di parecchi che assistono alla conferenza; 30 persone 20 soffrono di mal di testa e già dieci utilizzano il Diamox (uno dei più famosi rimedi chimici) fa un certo effetto, il che unito alle raccomandazioni dei due medici ci fa un pò preoccupare.
Partecipiamo ad uno strano esperimento; ci vengono presi i valori corporei come peso, frequenza cardiaca e pressione e ci vengono date tre pastiglie da prendere che a sorpresa possono essere Diamox, un altro farmaco in sperimentazione e del semplice zucchero; a Lobuche ci verrano presi di nuovo i parametri corporei e verranno messi in relazione alle pillole prese ed allo stato di salute.
Così con un pò di preoccupazione la mattina dopo ci incamminiamo verso Lobuche; facciamo una tappa a metà mattina a Dugla (dove ci si potrebbe anche fermare volendo nei due lodge) e dove ci riempiamo come al solito di thé caldo e reincontriamo Gino e Alda con Lhapka; ci diamo appuntamento a Lobuche per il pomeriggio. Si sale ancora per 300 metri sulla morena del ghiacciaio, passando vicino ad una serie di memoriali dedicati ai morti dell’Everest (tra cui anche quello ddedicato a Scott Fisher, una delle guide della tragedia del 1996 narrata nel libro “Aria Sottile” di Jon Krakauer) e finalmente siamo a Lobuche, una specie di accampamento pulcioso a 4900 metri.
La sua fama ci ha preceduto (è narrato come un posto dove prendersi malanni vari in numerosi libri) e velocemente cerchiamo un lodge decente, senza successo; gli unici due sono appannaggio dei giapponesi che prenotano con largo anticipo direttamente da Kathmandu. Questo è particolarmente spartano, ne parliamo ridendoci sopra con un simpatico olandese ed una signora americana dopo pranzo mentre inganniamo il tempo; stufi del clima tossico dell’interno facciamo ancora due passi verso la Piramide del CNR, giusto per fare un pò di dislivello in più.
Quando il sole va giù comincia a fare decisamente freddo, e la piccola stufa della sala da pranzo non riesce proprio a scaldare; mi metto il berretto anche in sala, e lo terrò per gli altri 6 giorni del trekking!!!